Nicola Ferrigni: "Il Covid ci ha cambiato, il vecchio svago non ci diverte più
Sette milioni di italiani non faranno vacanze, i ristoranti
sono vuoti, nessuno parla di calcio: siamo fermi al lockdown. Il perché ce lo
spiega il sociologo Ferrigni: "Abbiamo scoperto che si può andare a un
altro ritmo, anche nel divertimento".
Circa 7 milioni di italiani, quest’estate, rinunceranno alle
vacanze. E’ quanto emerge da un sondaggio di Facile.it, in cui si legge che
quelli che non ci rinunceranno, resteranno comunque in Italia, nel 38% dei casi
nella propria Regione di appartenenza. Precauzioni, distanze e buon senso,
certo. Ma da circa una settimana, dopo due mesi forzatamente costretti a
rinunciare alla cena fuori, al sabato di shopping o alla serata al teatro o
allo stadio, finalmente ci è consentito di riappropriarci della “nostra
normalità”. Eppure basta un’occhiata fuori dalla porta di casa per capire che,
se si è eccettuano pochi esercizi che hanno ripreso a pieno ritmo (vedi alla
voce parrucchieri) o le lunghe passeggiate nel parco, gli italiani sono ancora
perlopiù fermi al periodo del lockdown. Lo stesso sondaggio ha rilevato anche
che solo un 13,3 per cento di loro è pronto a mangiare fuori. Addirittura il
60,4% non ha nessuna voglia di riprendere prima dell’anno prossimo.
“Questo è un momento di transizione, non è scattato ancora
il totale ritorno alla normalità”, ci spiega Nicola Ferrigni, Professore
associato di Sociologia presso l’Università degli Studi “Link Campus University” di
Roma. “Stiamo vivendo in una sorta di limbo, non siamo né completamente nella
normalità, né nel lockdown. Siamo dubbiosi, perplessi, abbiamo giustamente
paura. Ma non è solo questo”. Perché, ci spiega il professor Ferrigni, non
dobbiamo sottovalutare la “riscoperta di noi stessi che è avvenuta in questi
due mesi. C’è stato un ritorno alla vera ‘normalità’, quella fatta di rapporti
più autentici. Abbiamo riscoperto i profumi, gli odori, i sapori, ponendoci in
una dimensione di silenzio e di ascolto di noi stessi”.
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Abbiamo tifato per un ritorno alla normalità, abbiamo
invocato lo svago ed ora che succede?
Non so quanto fosse una voglia reale quella del ritorno alla
“normalità” o quanto invece si sia trattato di uno slogan. In questi due mesi
di lockdown abbiamo tifato in maniera quasi corale, ma non so quanto
corrispondesse realmente al desiderio più profondo di ciascuno. Nella
sostanza credo che ciascuno abbia fatto delle riflessioni interne e il silenzio
sia stata la dimensione che ci ha portato a ripensare il modo di vivere. Non so
a quanti interessi tornare a quel ritmo che era di fatto un’aritmia sociale,
anche nel tempo dello svago.
Vuole dire che quel che ci divertiva prima ora non ci
diverte più?
Non c’è dubbio che le regole anti-covid, che sono
sacrosante, un po’ scoraggiano ad esempio il desiderio di andare al ristorante.
Ma credo che abbiamo riscoperto un nuovo modo di divertirci e di passare il
tempo. Cucinare in casa, ad esempio. Il corpo, la gola hanno provato sensazioni
nuove. Il piacere della preparazione e la tranquillità di gustare una colazione
o un pranzo o una cena in casa sono “privilegi” che ci ha concesso lo smart
working dovuto al lockdown. Abbiamo scoperto che si può andare a un altro
ritmo: come se fossimo stati fino ad oggi su un tapis roulant a 10 km/h con
pendenza al 50% e di punto in bianco quel tappetino si fosse fermato, permettendoci
di riposare.
Paradossalmente fermandoci ci siamo riappropriati del
nostro tempo libero...
Esattamente, abbiamo ritrovato la nostra dimensione, noi
stessi. Siamo tornati a riconoscerci, a ritrovarci. Una vera e propria
rivoluzione. Certo ci abitueremo di nuovo a tornare alla “vecchia” normalità,
esattamente come ci siamo abituati in pochi giorni al lockdown.
Così sarà anche per il mare? Preferiremo restare in casa?
Il mare è libertà. Con le dovute e giuste norme anticovid da
rispettare sarà difficile vivere il totale abbandono e relax che il mare anche
concettualmente porta con sé: l’orizzonte, l’infinito, cozzano un po’ con la
regolamentazione prevista per usufruire delle spiagge.
Crede che si possa fare una distinzione di età? Voglio
dire: i giovani, anche se non molti, alla riapertura sono stati i primi a
riempire le piazze per gli aperitivi...
Indubbiamente le fasce di età incidono. I giovani sono stati
bravissimi durante tutta la fase del lockdown nel rispettare le regole, ma per
loro a quell’età “tornare a casa” equivale a uscire fuori, dove si svolge la
loro vita: gli amici, il fidanzato/la fidanzata, vivono all’esterno delle mura
di casa. Quindi certamente nel loro caso il ritorno alla vita normale è più
giusto e più facile.
Anche i negozi stentano a ritrovare il normale flusso di
clienti. Le vendite online di contro decollano
Chi utilizzava già la modalità di vendita online ha
ulteriormente rafforzato questa abitudine, che si è calcificata; chi non
l’utilizzava ha scoperto una piacevole e comoda novità. Il negozio fisico è
soffocato, soprattutto quello di abbigliamento: la trafila per l’acquisto è
complicata, scomoda. La mascherina, la sanificazione dei vestiti: procedure
giuste e opportune, ma che non favoriscono la vendita. Stanno vivendo un lockdown
indotto. Discorso a parte merita la cultura.
Ci dica.
Penso che le vacanze “limitate” faranno riscoprire la voglia
degli eventi culturali nelle grandi città. La cultura, dai concerti agli
spettacoli all’aperto, rientra nel format estivo, anche perché in questi mesi
abbiamo avuto modo di usufruire pochissimo di cultura e ci manca. E poi
immagino che ci sarà un nuovo tipo di fruizione: nessuna calca al botteghino,
tutto più organizzato. Il pubblico sarà invogliato, ne avrà bisogno.
Ha notato che pare svanito anche il bisogno spasmodico
degli italiani di guardare partite di calcio?
Bella riflessione. Faccio parte del Comitato della Lega per
il metodo scientifico, ne parlavamo. Credo che fossimo inconsapevolmente
stanchi come società o meglio consapevolmente stanchi, ma non disposti ad
accettare questa stanchezza. E questa stanchezza di vita, sociale, era anche
per il mondo del calcio che negli ultimi anni è stato esasperato da tanti
eventi brutti. Eravamo saturi e non lo volevamo ammettere. Il lockdown ci ha
svegliato.
Non trova che probabilmente fossimo anche stanchi del
divertimento a tutti i costi esibito sui social network?
Certamente. Eravamo arrivati al cortocircuito per cui
vivevamo per gli altri e non per noi stessi. Lo svago non era svago per sé, ma
per gli altri. Il lockdown ci ha imposto di ascoltarci e di scoprire cosa fosse
il divertimento per noi. Forse è questo il punto: si viveva marcatamente in
funzione degli altri, che non è un modo umano, ma un’esasperazione. Il corpo a
un certo punto ti chiede di fermarti. Ce l’ha chiesto un virus, purtroppo ci
hanno rimesso migliaia di persone, ma credo che stiamo descrivendo il nuovo dna
della società del post coronavirus.
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