"Se sei disabile non vieni visto come un uomo nella sua completezza"


`Se sei disabile non vieni visto come un uomo nella sua completezza`
La Spezia - Dal borgo di Le Grazie a Monza per raccontare la sua esperienza in un convegno patrocinato dall’Onu in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità. Una nuova esperienza che vede protagonista lo spezzino Paolo Paoletti, affetto dalla distrofia muscolare di duchenne. La sua storia è molto particolare, perché nonostante la disabilità grave è riuscito ad organizzarsi una rete di volontariato funzionale e a garantire la propria autonomia. 

La giornata di confronto che si è tenuta Sala Agorà Presidio Corberi a Limbiate, aveva lo scopo di far riflettere e sensibilizzare verso le tematiche della disabilità, richiamare l’attenzione sulle tecnologie disponibili e sulle misure che possono essere adottate per creare ambienti di vita, di lavoro e di tempo libero che siano inclusivi e accessibili, in modo da consentire alle persone con disabilità di partecipare pienamente ed equamente. La relazione di Paolo Paoletti, dal titolo "Viaggiare si può" si è incentrata sulle sue esperienze quotidiane e sulle lotte che ogni giorno una persona disabile deve affrontare per poter garantire la propria autonomia partendo da un concetto semplice come quello di partecipare ad una vacanza con gli amici. 

Quello che segue è il testo della relazione
Se mi chiedessero “Quale canzone, rappresenta la tua vita?” penso che senza ombra di dubbio risponderei “Born to be wild” degli Steppen wolf. Lo so, molti vedendo la mia condizione stentano a crederci, ma posso assicurarvi che lo spirito riesce ad andare al di là di ogni barriera che sia fisica o mentale. 
Mi chiamo Paolo Paoletti, ho 52 anni e la distrofia muscolare. Mi hanno diagnosticato questa malattia quando ero davvero molto piccolo. La diagnosi avrebbe potuto rappresentare un ostacolo insuperabile per chiunque, soprattutto per mia madre che è stata la prima a sostenermi. Lei è stata capace di darmi forza, amore ed una sorella speciale - Francesca che oggi è qui con me -, tutti strumenti che mi hanno dato una bella spinta per crescere. Se oggi sono qui a raccontarvi la mia storia è merito di mia madre al cinquanta per cento, il restante ce l'ho messo io con tutte le mie forze. 
Oggi mi vedete tranquillo e sicuro di me, ma non è sempre stato facile. Qualche anno fa, stavo passando un bruttissimo periodo. Avevo perso la voglia di fare qualunque cosa, come se le mia voglia di vivere si stesse spegnendo. Una sera, durante un turno con alcuni miei amici venne fuori la proposta di fare un viaggio in camper. 
Sapete, quante cose si dicono? Quella che però sembrava una proposta buttata lì, in qualche mese diventò una realtà. Nel luglio 2006 ci imbarcammo in un'esperienza che cambiò la vita di tutti.
Eravamo partiti in quattro. Io, Marco, Lorenza ed un’ altra nostra amica partimmo alla volta della Francia e la prima capitale che incontrammo era la splendida Parigi dove ci raggiunsero anche Carlo e Barbara. A Berlino poi la squadra si completò con l'arrivo di Anna e Federico.
Mi ricordo ancora la grande emozione che provai mentre salivo nell'ascensore all'interno della Torre Eiffel. Io, Paolo Paoletti 44 anni, pochi giorni prima mi avevano proposto una tracheotomia, perché la mia salute sembrava peggiorare, ero a centinaia e centinaia di chilometri da casa spalleggiato dai miei amici a fare un megatour dell'Europa e ora davanti ai miei occhi potevo ammirare dall'alto tutta Parigi, mi è sembrato di essere il padrone di quella città. 
Le angosce, le paure, i brutti pensieri hanno cominciato a scivolare via come se non esistesse più niente. Come se una torre di ferro avesse la possibilità di cambiare la vita di un uomo. Mi piace pensare che sia andata proprio così. 
Il nostro viaggio proseguì raggiungemmo Amsterdam, Berlino, Praga e Vienna. Io e i miei amici siamo diventati una cosa unica. Eravamo perfettamente incastrati con i tempi, anche se abbiamo saputo improvvisare e non sono mancati i momenti di tensione dovuti alla stanchezza. 
Ma ci siamo sempre detti le cose in faccia, io sono sempre stato onesto con loro e loro lo sono stati con me. Ci siamo messi in gioco e ci siamo spalleggiati, abbiamo fatto qualcosa di grande insieme. 
Io ho ritrovato la forza e ho riscoperto la gioia di fare un viaggio di respirare un'aria diversa. E' vero, i miei amici mi hanno spinto e sostenuto ma sono stato io il primo a volerlo. 
Siamo partiti che eravamo un gruppo di amici e siamo tornati uniti come una famiglia, avevamo anche i nostri soprannomi. 
Queste parole so che possono sembrare un bel discorso retorico, ma per farvi capire quanto per me possa essere importante ogni piccola cosa vi racconto questo episodio. 
Stavamo andando a Berlino e sulle spalle avevamo già una settimana di viaggio, cominciavamo ad essere tutti un po' stanchi. Io proprio per la mia malattia sono un po' più delicato, una semplice febbre oppure la tosse per me possono avere conseguenze pesanti, anche per mesi. 
Dovevamo raggiungere Berlino ed ero in camper in autostrada, ad un tratto chiedo ai miei amici di misurarmi la febbre. Il termometro segnava 38.5, un vero febbrone da cavallo.
In una circostanza normale mi sarei messo a letto e avrei chiamato il dottore. I miei amici erano molto preoccupati per me ed erano pronti a tornare indietro. Io gli ho detto candidamente: “Ragazzi non abbiate paura sto benissimo, andiamo a Berlino!”
Ed era proprio così che mi sentivo, sano e forte, forse un po' stanco per tutte quelle ore di viaggio. Sapevo che potevo farcela e ce l'ho fatta. 
In quel viaggio con i ragazzi abbiamo avuto anche qualche piccolo screzio, e' stata una fatica anche per loro perché sono stati le mie braccia e le mie gambe, io non posso muoverle.
A Praga mi hanno proprio fatto arrabbiare, erano distratti mentre parlavo io, che già faccio fatica e vuoi la stanchezza generica e la voglia di organizzarsi per bene, non ce l'ho fatta e abbiamo avuto una mezza discussione. Ma sapete la verità? Anche questo fa parte del gioco, avere degli amici significa litigarci, appoggiarsi a loro quando si è tristi e fare delle “zingarate” quando è il momento. 
Questi amici coi quali ho viaggiato fanno tutti parte della rete di volontari che mi aiuta ogni giorno, assieme al sistema di assistenza che mi paga il comune in cui risiedo in Liguria. 
Molti dei ragazzi che vengono da me provengono da altre realtà inclini al volontariato, come lo scoutismo ad esempio. In altri casi, in molti mi hanno conosciuto con un po' di passaparola e per le vacanze estive che faccio a Bordighera in un soggiorno organizzato dalla Uildm. 
Chi mi ha conosciuto, ha imparato che da cosa nasce cosa e che la porta di casa mia è sempre aperta a chi vuole aiutarmi. Anche io ho avuto le mie delusioni, mi rendo conto che troppo spesso la gente, a volte anche chi reputa di conoscermi bene, non riesce a vedermi come un uomo nella sua completezza, ma come qualcosa di alieno inchiodato su una seggiola con le ruote. E nonostante io sia cristallino come l'acqua, molti si fermano ancora alla semplice apparenza e vedono uno con la treccia da indiano, che anche se non parla sarà sicuramente una persona splendida perché è in carrozzina. Questa è una cosa che mi ferisce e negli anni ho visto alcune persone di cui mi fidavo comportarsi così. 
Fortunatamente, ce ne sono tante altre che ogni giorno mi stanno vicino e mi aiutano come possono. Quando sono a casa, mi gestisco da solo i turni dei volontari, li chiamo uno per uno e chiedo loro quando possiamo vederci. 
In tanti mi hanno raccontato, come in pochissimo tempo, sia diventato un amico e non una persona da assistere. 
Nel 2013, una mia carissima amica con la sua tesi di laurea tramite un video provò ad abbattere i muri e i pregiudizi che si vengono a creare in una situazione come la mia. Lei usò l'ironia e produsse assieme ad altri ragazzi che mi frequentano, un video tributo che mi regalarono per il mio cinquantesimo compleanno. 
In tanti mi chiamano “Principe” perché sono servito e riverito, sto parlando in senso ironico si intende, e cercano di starmi vicino. 
Per me sono un grande stimolo, ma se sono qui ancora oggi è perché il mio amore per la vita è in grado di superare qualunque ostacolo e difficoltà. Ci sono azioni che a causa di questa malattia non posso fare direttamente. Chi mi aiuta è le mie braccia e le mie gambe, ma il cervello e il cuore sono miei. Basta pensare che quest'anno mi sono dato un altro importante obiettivo, quello di conseguire il diploma. Un sogno nel cassetto che ho realizzato, ma non mi son fermato, infatti, oggi avete davanti a voi una matricola dell'università di Pisa, studio filosofia. 
In questi anni ho coltivato tante passioni oltre ai viaggi, mi piace leggere e scrivere. Scrivo racconti e brevi storie. Ma soprattutto mi piace stare con gli amici a fare cazzate, scusate il francesismo, ma è l'espressione che rende meglio l'idea. 
Raccontata così la mia esperienza sembra una favola, ma non è tutto oro quello che luccica. Tutto ha un costo economico elevato, a partire dagli ausili che utilizzo. Nonostante gli sforzi del mio comune di residenza e dell'Asl, sono comunque costretto a pagarmi dell'assistenza necessaria a coprire le 24 ore, quando l'altro motore della mia autonomia, che sono volontari e gli amici, non riescono a venirmi incontro. Senza tutto questo io non potrei essere qui. 
La tecnologia ha migliorato in modo sensibile la mia vita autonoma, ad oggi avrei bisogno di una carrozzina elettronica super equipaggiata per le mie necessità e di un comunicatore ottico che mi permetterebbe di interagire in modo ancora più efficace con il mondo in cui vivo. 
Arrivati a questo punto, purtroppo, subentra un brutto pensiero. Se hai le disponibilità economiche sei un disabile di serie A, altrimenti sei abbandonato a te stesso. 
Questo avviene comunemente anche tra le persone normodotate, ma nella disabilità è ancora più marcato.
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